IL VINO NEI SECOLI: antica Grecia parte prima
di Marco Rossi
A quel punto il bambino romano, che era sì un bambino, ma scemo no, disse al nonno, rimproverandolo: Nonno, ma che storie mi racconti? Ma possibile che dopo solo due o tre cisterne romane di vino, ti gira subito la testa e cominci a spararle grosse? Va là, che te la racconto io la storia giusta! No, nonno, non andare là: è solo un modo di dire… Devi sapere, nonno… Nonno? Nonno svegliati! Allora: devi sapere che la vera storia del vino comincia con quella della coltivazione della vite, che avviene proprio nella zona di terra chiamata Mesopotamia. I primi documenti che testimoniano la presenza del vino risalgono alla fine del IV millennio a.C, ritrovati nella città di Sumer, appunto in Mesopotamia. Questi documenti, che costituiscono la cosiddetta “Epopea di Gilgamesh”, primo eroe della letteratura scritta di cui si narrano le vicende eroiche, non solo viene nominata per la prima volta questa bevanda di cui tu certo abusi, ma viene anche descritto di come il vino venisse utilizzato nei banchetti ed offerto agli dèi o utilizzato in altri momenti della vita quotidiana. Devi sapere, nonno, che la scrittura fu inventata dai sumeri e che ha preso il nome di scrittura cuneiforme. No, nonno, non venivano da cuneo i sumeri! Allora, nonno: vuoi ascoltare? Poi vennero gli egizi. A dire il vero, pur avendo una terra estremamente ricca e generosa, che produceva frutti, cereali e viti in grande abbondanza, il vino non ebbe un gran successo, superato nelle loro preferenze, dalla birra, della quale se ne faceva gran uso sempre e in particolar modo nelle feste e nei riti propiziatori. Curiosità: la birra veniva chiamata “vino di grano”.
Adesso nonno, visto che gli egizi non ci danno soddisfazione, passiamo all’antica Grecia, che per noi non è tanto antica, ma che un giorno lo sarà. Sicuramente tu saprai chi era Omero. Come nonno? L’oste? Ma no! Omero è il più grande poeta greco, nato intorno al VIII secolo a.C. Anche se la sua esistenza non è sicura, grazie ad un meraviglioso poema a lui attribuito, l’Odissea, abbiamo importanti informazioni sull’utilizzo e l’importanza del vino nella Grecia di allora. Ti leggo alcuni passaggi dell’Odissea: Lo so che la tua vita è un’odissea nonno, ma se continui a dormire o a dire stupidaggini, te la interrompo io l’odissea. Capito? Il poema racconta le vicende di Ulisse, che dopo aver combattuto e sconfitto la città di Troia grazie al famoso cavallo di legno che lui escogitò, intraprese il viaggio di ritorno a Itaca, la sua terra, viaggio che non fu per nulla facile, anzi: Fermatosi come ospite presso il re Alcinoo, re dei Feaci, in un’isola che viene chiamata Scheria, per alcuni l’attuale Corfù, venne onorato di un banchetto in suo onore, nel quale Ulisse raccontò le sue avventure nella terra dei Ciclopi:
“Giungemmo alla terra dei Ciclopi, prepotenti e selvaggi. Essi lasciano fare agli dei: non piantano un albero con le loro mani, non arano. Ma senza semine e senza colture tutto là viene su, il frumento e l’orzo, e viti che portano grappoli enormi, da vino: glieli ingrossa così la pioggia di Zeus… E quella terribile con il fortissimo Ciclope, che li tenne prigionieri nella sua grotta, cibandosi, di tanto in tanto, dei compagni di Ulisse:
“Allora io mi feci avanti. Andai vicino al Ciclope, gli parlavo, tenendo fra le mani una ciotola colma di vino nero. Dicevo: ‹Ciclope, to’, bevi vino ora che hai mangiato carni d’uomo. Così saprai che sorta di bevanda è questa che la nave nostra teneva in serbo. Io ti portavo una libagione, se mai avevi pietà di me e mi rimandavi a casa. Ma tu fai il furioso, non sei più sopportabile. Sciagurato! e come potrà venir qui da te, un domani, qualche altro dei tanti uomini della terra? Non ti comporti a dovere.›
“Così dicevo. Egli prese la ciotola e bevve fino in fondo: e gustò visibilmente la dolce bevanda, e me ne chiedeva ancora, una seconda volta: ‹Dammene ancora, da bravo. E dimmi il tuo nome subito, ora. Voglio fartelo, il dono ospitale: e tu ne sarai contento. Anche ai Ciclopi produce la terra vino da grossi grappoli: ma questo è uno zampillo di nettare e d’ambrosia.›
“Così diceva. E io gli porsi ancora una volta di quel vino rosso. Tre volte gliene diedi e tre volte egli bevve d’un fiato, nella sua stoltezza.
“E quando il vino gli andò giù, al Ciclope, fino ai precordi, mi rivolgevo a lui con dolci parole: ‹Ciclope, tu mi domandi il mio nome. Ed io te lo dirò. Ma tu dammi il dono ospitale come promettesti. Nessuno è il mio nome: Nessuno mi chiamano la madre e il padre e anche tutti i compagni.› “Così parlavo. Ed egli subito mi rispose, lo spietato: ‹Nessuno, io, per ultimo me lo mangerò, fra i suoi compagni: quegli altri là, prima. Questo sarà per te il mio dono ospitale.›
“Così disse. E rovesciandosi indietro cadde supino. E là giaceva immobile, con la grossa cervice piegata da un lato. Lo soggiogava il sonno che tutto doma. E dalla gola gli venivano su sgorghi di vino e bocconi di carne umana. Ruttava e vomitava, ubriaco com’era…